La bellezza, si sa, non muore mai, e resiste perfino ai bombardamenti. È questo che è capitato al Monastero di Santa Chiara, vittima di un bombardamento durante la seconda guerra mondiale che le ha mutato l’aspetto senza però distruggerne il fascino eterno.
La chiesa, infatti, fu in parte distrutta da un incendio durato due giorni che divorò per sempre alcuni affreschi, tra cui quelli di Giotto.
Subito però si decise di ricostruire quella chiesa così amata dai napoletani e così, dopo dieci anni di lavori, essa tornò a splendere in tutta la sua bellezza trecentesca.
Oggi il Monastero di Santa Chiara è uno dei più grandi complessi monastici della città, e rientra a pieno titolo tra i monumenti più visitati dai turisti che arrivano a Napoli.
Situato nel centro storico della città, precisamente in piazza del Gesù Nuovo, il complesso di Santa Chiara comprende una basilica gotica, quattro chiostri monumentali, gli scavi archeologici di un impianto termale di epoca romana, un campanile gotico e il Museo dell’Opera, inaugurato nel 1995.
La chiesa
Giunti in piazza del Gesù Nuovo, il maestoso portone gotico d’ingresso vi condurrà inizialmente alla basilica, la cui costruzione si deve a Roberto d’Angiò e a sua moglie, che nel ‘300 commissionarono i lavori ad un architetto napoletano.
I lavori della chiesa si conclusero nel 1340, e ben presto essa diventò una delle più importanti di Napoli, tanto da attirare artisti illustri che qui accettarono di lavorare. Tra questi nomi ce n’è uno che spicca: Giotto. L’artista toscano, infatti, affrescò il coro delle monache con episodi dell’Apocalisse e scene del Vecchio Testamento.
La basilica fu ampiamente ristrutturata nel ‘700 secondo i dettami barocchi; tuttavia, di questa ristrutturazione non rimane oggi più nulla a causa del bombardamento del 1943.
All’esterno della chiesa è possibile ammirare il campanile, i cui lavori iniziarono nel ‘300 ma furono conclusi solo nel ‘600 con influenze architettoniche barocche.
All’interno, invece, la chiesa presenta un’unica navata disadorna che conserva l’impianto gotico originario.
Ai lati troviamo ben 20 cappelle che rappresentano sepolcri monumentali realizzati tra il XIV e il XVII secolo, appartenenti a personaggi di nobili famiglie napoletane.
Tra le cappelle più celebri ci sono quella di Salvo D’Acquisto, vicebrigadiere dell’Arma dei Carabinieri morto durante la seconda guerra mondiale, e quella dei Borbone, dove riposano i sovrani del Regno delle Due Sicilie.
Il pavimento marmoreo risalente al 1700, invece, è opera di Ferdinando Fuga, ed è una delle poche testimonianze del rifacimento barocco andato perduto nel 1943.
Il monastero
Alle spalle della basilica si sviluppa il monastero, uno dei più grandi della città.
A rapire lo sguardo di turisti e visitatori sono sicuramente i chiostri, tra cui uno in particolare: il chiostro maiolicato delle Clarisse.
Il chiostro maiolicato è opera di Domenico Antonio Vaccaro, artista vissuto a cavallo tra Barocco e Rococò che realizzò l’opera nel 1739.
Basandosi sulla struttura gotica del chiostro, Vaccaro ridisegnò il giardino colorandolo con le mattonelle maiolicate di Donato, un ceramista campano. Le scene rappresentate sulle maioliche sono prettamente bucoliche, con tipici paesaggi napoletani, e prendono vita attraverso le tonalità sgargianti del giallo, del verde e del blu.
Il chiostro delle Clarisse vanta un lungo porticato con 72 pilastri, e a colpire ed affascinare i visitatori non sono solo le maioliche: sulle pareti, infatti, dei meravigliosi affreschi accompagnano la passeggiata nel chiostro. Opera di un autore ignoto, gli affreschi riprendono scene di vita francescana, e sono realizzati in stile barocco.
Dal chiostro maiolicato è poi possibile raggiungere altri ambienti del monastero:
- Il chiostro di San Francesco, piccolo chiostro trecentesco che, a causa del bombardamento del 1943, ha subito vari interventi di ristrutturazione;
- La biblioteca, che conserva importanti volumi sulla storia e la cultura francescana;
- La sala di Maria Cristina di Savoia, che ancora conserva alcuni affreschi di Giotto sulla Crocifissione;
- Il refettorio, risalente al ‘700, dove si riunivano le monache coriste.
Fa parte del monastero anche la chiesa delle Clarisse, che ha un ingresso indipendente in piazza del Gesù Nuovo. La chiesa, conosciuta come chiesa di Gesù Redentore e San Ludovico d’Angiò, conserva anche un nome particolare: cappella delle sorelle povere di Santa Chiara. Le clarisse, infatti, erano le monache facenti parte dell’ordine di Santa Chiara, ordine fondato da San Francesco e Santa Chiara d’Assisi nel 1212.
La chiesa delle clarisse ha un impianto tipico medievale, ed inizialmente veniva usata come refettorio per i frati minori.
L’ingresso attuale posto in piazza del Gesù è stato creato dopo la seconda guerra mondiale, e la chiesa è stata riaperta al culto soltanto nel 2007, dopo anni di restauri conservativi.
Il monastero di Santa Chiara è per i napoletani un’incarnazione di arte, bellezza e fede. Una celebre canzone napoletana, composta nel dopoguerra, dedica parole d’amore al monastero di Santa Chiara che, distrutto dai bombardamenti, diventò simbolo della paura del popolo per una guerra finita e per una ricostruzione da iniziare. Una ricostruzione dell’architettura e dell’anima, che i napoletani possono oggi dire orgogliosi di aver portato a compimento, restituendo alla città un’opera unica per la sua disarmante bellezza.