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Chiesa di Sant’Eligio: origini e storia della più antica architettura angioina di Napoli

Nella splendida città di Napoli, accanto alla Piazza del Mercato, spicca la chiesa di Sant’Eligio con il suo famoso orologio, testimone di molti eventi nel corso dei secoli, tra cui la morte di Corradino di Svevia e tanti altri condannati.

La storia della chiesa

La chiesa, in stile gotico, è l’opera angioina più antica di Napoli, voluta da tre nobili francesi alla corte di Carlo I d’Angiò: Giovanni Dottun, Guglielmo di Borgogna e Giovanni de Lions. È stata costruita nel 1270 e dedicata in origine a tre santi: Dioniso, Martino ed Eligio.

Vennero costruiti, inoltre, annessi alla chiesa, un ospedale e un educandato femminile dove poter avvicinare le giovani fanciulle all’arte della medicina.

Il complesso, nel corso dei secoli, è stato restaurato, soprattutto dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, ed ha così perso un po’ del suo fascino originario, pur mantenendo una facciata di forte impatto in stile gotico.

L’architettura

L’ingresso della chiesa si trova nella parte laterale, e l’interno è composto da tre navate con un’abside poligonale e cappelle laterali divise da colonne ornate con stili differenti. Esiste inoltre una quarta navata, inglobata nel XVI secolo, che in origine faceva parte dell’ospedale. All’esterno si possono ammirare due chiostri con pilastri di piperno, uno dei quali ornato con una fontana risalente al 1600.

L’arco nella facciata esterna, del 1400, si collega alla torre campanaria, formata da due piani ben riconoscibili alla vista. Al secondo piano è presente un locale in cui i condannati a morte trascorrevano le loro ultime ore di vita, mentre il famoso orologio si trova al primo piano. Dal lato opposto si può notare un orologio molto particolare con una lancetta sola, frutto dell’esplosione della nave Caterina Costa durante la seconda guerra mondiale, nel 1943. Tornando all’orologio principale, sotto la cornice sono scolpite due teste che, si narra, raffigurano Irene Malerbi e il duca Antonello Caracciolo. La leggenda che coinvolge i due protagonisti narra che lui, uomo senza scrupoli, si innamorò della vergine ragazza che però non ricambiava i suoi sentimenti. Lui cercò in ogni modo di farle cambiare idea ma alla fine, pur di poterla avere, fece imprigionare il padre chiedendo in cambio la figlia per la sua liberazione. Il suo piano andò a buon fine ma la famiglia della ragazza si ribellò chiedendo aiuto a Ferdinando d’Aragona. Il sovrano obbligò così il duca a sposare la giovane Irene, per farle avere la ricca dote, e poi lo fece decapitare nella Piazza del Mercato.

Le opere d’arte

Tante sono le opere d’arte custodite all’interno della chiesa, tra cui spiccano il dipinto che raffigura i tre santi Eligio, Martino e Dioniso di Massimo Stanzione, e il Giudizio Universale del pittore fiammingo Cornelio Smet. Di quest’ultimo si racconta che sia stato ritoccato addirittura da Michelangelo. Inoltre si possono ammirare una statua lignea della Madonna del XV secolo, il sepolcro di Pietro Summonte, scrittore morto nel 1526, e una cappella di epoca rinascimentale di Tommaso Malvito.

Sicuramente da visitare è la sala Sant’Eligio, usata un tempo per le feste popolari, con i suoi meravigliosi affreschi e tele che raffigurano le Storie della Gerusalemme Liberata.

Nell’edulcandato, invece, è custodita la Madonna della Misericordia, la quale, racconta la tradizione, avrebbe perso sangue dallo sfregio che ha sul suo volto.

Sant’Eligio: il santo protettore dei veterinari

Sant’Eligio, prima di diventare vescovo, è stato maniscalco e orafo di corte. Da qui nasce la leggenda che lo vede protagonista di un miracolo molto suggestivo: non riuscendo a gestire un cavallo irrequieto, per ferrare lo zoccolo dell’animale, gli staccò una zampa per effettuare l’operazione e poi la riattaccò. Dopo questo episodio vennero portati in questa chiesa tutti i  cavalli per essere benedetti, e così San Eligio divenne il santo invocato per far guarire i cavalli ammalati o infortunati. Una volta tornati in forma, venivano collocati nella porta di casa i loro ferri, che diventavano così un simbolo delle proprietà miracolose del santo.

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